Viviamo in un tempo in cui la tecnologia ci permette di comunicare istantaneamente, abbattere distanze e costruire ponti culturali mai immaginati prima.

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Perché si vuole provocare la guerra nell’epoca digitale?




Eppure, paradossalmente, la stessa epoca digitale che avrebbe dovuto favorire la pace sembra alimentare nuovi scenari di conflitto. Perché?

La prima ragione è l’informazione: i canali digitali, se da un lato offrono conoscenza, dall’altro diventano terreno fertile per la disinformazione, le fake news e la propaganda.

Un messaggio manipolato può scatenare paure collettive e contrapposizioni, alimentando il clima di tensione tra popoli e governi.



Un secondo aspetto riguarda il potere economico. Nell’era digitale, i dati sono la nuova ricchezza.
Chi controlla i flussi informativi e tecnologici ha un vantaggio strategico enorme.

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Le guerre non sono piĂą solo per territori o risorse naturali, ma per il dominio sul cyberspazio, sulle reti e sugli algoritmi.

Non va trascurata poi la dimensione psicologica.
L’iperconnessione ci espone continuamente a immagini e narrazioni di conflitti, creando un senso di normalizzazione della violenza. Ciò rende più facile, per chi ha interesse a destabilizzare, far sembrare inevitabile uno scontro invece che un dialogo.


Eppure, proprio in questa epoca digitale, la guerra potrebbe essere evitata con piĂą facilitĂ  se la rete fosse usata come strumento di comprensione reciproca.
Non mancano esempi di comunità che si incontrano online per dialogare, collaborare e costruire progetti comuni, dimostrando che l’alternativa alla guerra è sempre possibile.

Provocare conflitti oggi significa voler sfruttare le fragilità di un sistema interconnesso, ma la stessa interconnessione può diventare la chiave per un mondo più unito.

La sfida sta nelle nostre scelte quotidiane: usare il digitale come arma o come ponte.




12/09/2025

A.I. Claudio

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